Fedeli al cioccolato. Scelta benedetta o diabolica? Assoluzione piena. Sin dal Settecento

by Roberta  Osso

Quando il cacao, a metà del Cinquecento, arrivò nelle corti europee, fece gran scalpore. Un gusto così particolare! Un bene così raro, usato addirittura come moneta! La bevanda cioccolata impiegò un po' a farsi strada, il tempo di subire qualche aggiustamento secondo i canoni del gusto europeo. E fra la seconda metà del Seicento e l'inizio del Settecento era ormai di gran moda. Anche con il contributo della Chiesa. E a volte con la sua opposizione.

Trattandosi infatti di un'innovazione che tanto modificò i gusti del tempo, la Chiesa intervenne nella valutazione del cacao. 

Innanzitutto ne decise un'importazione più ampia. Si possono perciò ben ringraziare i missionari gesuiti se le fave di cacao arrivarono in Europa. Inizialmente infatti i colonizzatori spagnoli portarono nel Vecchio Continente solo semi di cacao già lavorati, facendo grandi profitti sulle fasi della trasformazione, che rimasero a lungo solo nelle loro mani e soprattutto relegate in Sud America. Fino a che i gesuiti non ne iniziarono il commercio. E il cacao cominciò a diffondersi di monastero in monastero, di convento in convento. In breve: fino a tutto il Settecento la produzione della cioccolata fu appannaggio esclusivo o quasi di monaci e suore.

Dopo accese diatribe, lunghe quasi un secolo, nel 1662 la Chiesa decise di ammettere la cioccolata calda durante i digiuni perché non era da considerarsi un cibo da mangiare bensì un liquido da bere. Visto il suo aiuto nel sostenere i lunghi digiuni religiosi era ritenuta particolarmente salutare e di certo oltre che contribuire non poco ad alleviare i morsi della fame, sicuramente rendeva pure più sopportabile la penitenza, aggiungerei. 

Ci fu però anche chi si insospettì a causa della mollezza indotta dalla cioccolata calda e dal fatto che riscaldasse eccessivamente il sangue. Questo ad esempio sosteneva, nella seconda metà del Seicento, Giuseppe Girolamo Semenzi, padre somasco, scrittore, storico e insegnante di teologia all'Università di Pavia. 
Il cioccolato era infatti allora in odor di diavoleria. Forse le sue proprietà rinvigorenti erano diaboliche, opera di spiriti maligni.

Nel 1650 i gesuiti stessi misero al bando la bevanda al cioccolato per tutti i monaci dell'ordine. Dovettero però ben presto revocare l'atto perché aveva causato l'abbandono della loro scuola da parte di molti giovani.
E altre iniziative per osteggiare i fedeli della cioccolata non andarono a miglior fine. Fu così che, ufficialmente, la cioccolata calda fu assolta definitivamente e considerata una gran benedizione. 
Ottima scelta, vero?

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